Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  lunedì 04 aprile 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Confessioni 7)

di Lev Tolstoj (a cura di Guido Biancardi)

Non avendo affatto trovato spiegazione nella scienza, mi misi a cercarla nella vita: speravo di trovarla fra gli uomini che mi erano intorno. E mi misi ad osservare gli uomini, i miei simili, la loro vita attorno a me ed il loro atteggiamento riguardo quella questione  che mi aveva portato alla disperazione.

 

Ed ecco cosa trovai fra gli uomini che, per la loro educazione ed il loro modo di vivere, erano nella mia stessa situazione.

 

Trovai, fra gli uomini dell' ambiente in cui vivevo, quattro modi per uscire dalla terribile situazione in cui tutti ci troviamo.

 

La prima via di fuga era quella dell'ignoranza. Essa consisteva nel non sapere, nel non comprendere che la vita è un male, un'assurdità. Le persone di questa categoria, nella maggior parte dei casi, donne o uomini molto giovani o molto ottusi, non avevano ancora compreso questa questione della vita che s'era presentata a Schopenhauer, a Salomone, al Budda. Esse non vedevano né il drago che le aspettava, né i topi che rodevano i cespugli ai quali essi si aggrappavano; esse non facevano che leccare le gocce di miele. Solo, non lo avrebbero potuto fare per sempre: qualcosa finirebbe per attrarre la loro attenzione sul drago e sui topi  ed avrebbero perduto ogni voglia di leccare. Non avevo niente da imparare da quella gente: non si può smettere di sapere quello che già si sa.

 

La seconda via di fuga era quella dell'epicureismo. Essa consisteva nel trarre profitto dai beni esistenti pur conoscendo la disperazione della vita ed a distogliere lo sguardo dal drago e dai topi per leccare il miele nella miglior maniera possibile, soprattutto se ce n'è molto. Salomone descrive questa via nel modo seguente:

 

“Ho dunque presa a pigione la gioia poiché non c'è altra felicità per l'uomo sotto il sole che nel mangiare bere e godere; è ciò che deve accompagnarlo nel mezzo del suo lavoro, durante i giorni di vita che Dio gli concede sotto il sole”.

 

“Va, mangia con gioia il tuo pane, e bevi allegramente il tuo vino...Godi della vita con la  donna che ami, per tutti i giorni della tua vita di vanità che Dio ti ha dato sotto il sole, durante tutti i giorni della tua vanità; poiché è la tua parte di vita, negl'intermezzi del lavoro che fai sotto il sole...Tutto quello che la tua mano trova da fare con le tue stesse forze, fallo; poiché non c'è né opera, né pensiero, né scienza, né saggezza, nella dimora dei morti dove stai andando”.

 

E' così che la maggior parte degli uomini del mio ambiente sostiene in se stessi la possibilità della vita. Le condizioni nelle quali si trovano fanno sì che essi abbiano più gioie che mali, mentre la debolezza morale permette loro di dimenticare che i vantaggi della loro condizione sono dovuti al caso, che tutti non possono avere mille donne e palazzi, com'era il caso di Salomone, e che per ogni uomo con mille donne si trovano mille uomini senza donna, e che per ogni palazzo ci sono mille uomini che lo costruiscono con il sudore della loro fronte; e che il caso che ha fatto di me un Salomone può domani trasformarmi in  uno schiavo di Salomone. Ma la loro  mancanza d'immaginazione permette loro di dimenticare quel che tormentava il Budda: l'imminenza della malattia, della vecchiezza e della morte, che verrà domani, se non è per l'oggi, a distruggere tutti quei piaceri.

 

E' ciò che pensa e prova la maggior parte delle persone del nostro tempo e del mio ambiente. Che certuni fra loro tentino di far passare la loro carenza di pensiero ed assenza d'immaginazione per filosofia, e che la qualifichino come positiva, non basta, a parer mio, a differenziarli da coloro che leccano il miele al fine di non vedere la questione. Io non potevo imitare nemmeno queste persone: la mia immaginazione non essendo limitata quanto la loro non potevo imporle dei limiti artificiali. Questo era impossibile per me, come è impossibile per ogni uomo vivente distogliere i suoi occhi dai topi e dal drago, una volta visti.

 

La terza via era quella della forza e dell'energia. Essa  consisteva nel distruggerla, la vita, da che si era compreso che la vita era un male ed un'assurdità. E' così che agiscono rarissime persone forti e coerenti. Misurando tutta la stupidità dello scherzo che era stato loro giocato e comprendendo che i beni dei morti erano più grandi di quelli dei vivi, essi agiscono di conseguenza mettendo fine immediatamente a questo stupido scherzo con uno dei mezzi a nostra disposizione: un nodo scorsoio attorno al collo, dell'acqua, un coltello capace di trapassarci il cuore, ferrovie con i loro treni. Nel nostro ambiente sempre più persone agivano in modo simile. E lo facevano, generalmente, nel periodo migliore della loro vita, nel momento  della pienezza di tutte le forze delle loro anime, fintanto che le tradizioni umilianti per la ragione umana non erano ancora state assimilate.

 

Vedevo che era la via più degna, e volevo comportarmi così.

 

La quarta via d'uscita era quella della debolezza. Essa consisteva nel vegetare pur comprendendo il male e l'assurdo della vita  e pur sapendo dall'inizio che non se ne trarrebbe alcun risultato. Gli uomini di questa categoria sapevano che la morte valeva più della vita, ma non avendo la forza di agire secondo la propria ragione, di metter fine a questo raggiro ed uccidersi, sembravano aspettarsi ancora qualcosa. Era la soluzione della debolezza, poiché se so cosa è meglio, ed è in mio potere farlo, perchè non fare quel che è meglio?...Io mi trovavo fra tale categoria.

 

Così, le persone del mio ambiente avevano quattro modi di sfuggire alla terribile contraddizione. Avevo un bel mobilitare tutta la mia intelligenza, non vedevo alcuna soluzione all'infuori di queste quattro vie. La prima era di non comprendere che la vita è assurda, vanità, male, e che è meglio non vivere. Non potevo ignorarlo, ed una volta averlo appreso, non potevo più chiudere gli occhi. La seconda consisteva nel profittare della vita così com'è senza pensare al futuro. Non potevo neppure far questo. Tale e quale come Sakyamuni non potevo andare a caccia sapendo che vecchiezza, sofferenza e morte esistevano. Avevo un'immaginazione troppo viva per far questo. Per di più, non potevo rallegrarmi del caso d'un istante che m'aveva gettato in pasto ad un momentaneo godimento. La terza via d'uscita consisteva nel metter fine alla vita, nell'uccidersi, poi che si era capito che la vita  era male e dissennatezza. La quarta via di fuga consisteva nel vivere la condizione di  un Salomone, d'uno Schopenauer, nel sapere che la vita era uno stupido scherzo che qualcuno mi aveva giocato, ma, malgrado tutto, fare la propria toeletta il mattino, vestirsi, mangiare, parlare, ed anche scrivere del libri. Era per me disgustoso, penoso, ma restavo in questa situazione.

 

Oggi so che, se non mi sono ucciso, è perchè avevo vagamente coscienza che il mio ragionamento era falso. Per quanto convincente ed indubitabile mi sembrasse lo svolgimento dei miei pensieri e di quelli dei saggi che ci avevano portato a constatare l'assurdità della vita, un vago dubbio permaneva in me quanto alla giustezza del mio ragionamento.

 

Questo dubbio si manifestava nel modo seguente: io e la mia ragione avevamo riconosciuto che la vita era priva di sensatezza. Se la ragione suprema non esisteva (ed essa non esisteva, poiché nulla era in grado di provarlo), allora era la mia ragione che creava la vita per me. Come, dunque, questa ragione creatrice di vita, poteva negare la vita? Oppure, se si prendono le cose sotto un altro aspetto: se non ci fosse stata vita  la mia ragione non sarebbe esistita, quindi la ragione era nata dalla vita.

 

La vita conteneva tutto. La ragione era un frutto della vita, ed ecco che questa ragione negava la vita stessa. Sentivo che c'era qualcosa che non andava.

 

La vita è un male assurdo, è certo, mi dicevo. Ma avevo vissuto questa vita e continuo a viverla, e tutta l'umanità vive. Come è possibile? Perchè vive, mentre potrebbe non vivere? Sono solo, con Schopenhauer, ad essere sufficientemente intelligente per comprendere l'assurdo ed il male della vita?

 

L'idea della vanità della vita non era così ingegnosa, essa era stata formulata da molto tempo da tutte le persone, anche le più semplici, che comunque avevano  vissuto e continuavano a vivere. Perchè vivevano dunque tutti, perchè non mettevano in discussione la legittimità della vita?

 

La mia scienza, confermata dalla sapienza dei saggi, mi aveva rivelato che tutto ciò che esiste al mondo, l'organico come l'inorganico, era organizzato in maniera straordinariamente intelligente, e  che solo la mia situazione era stupida. Ora, tutti quegli imbecilli (l'immensa massa della gente) ignorava tutto sull'organizzazione dell'organico e dell'inorganico, ma vivevano, ed a loro sembrava che la propria vita fosse persino molto ragionevole!...

 

Mi domandavo: “Non c'è forse qualcosa che ignoro? Poiché l'ignoranza agisce proprio così. L'ignoranza dice sempre la stessa cosa. Quando essa ignora qualcosa, dice che quel che ignora è stupido”. Effettivamente, esisteva un tutto umano che aveva sempre vissuto ed ancora viveva, che sembrava comprendere il senso della vita, poiché, altrimenti, non avrebbe potuto vivere; ed io, io  dicevo che questa vita era assurdità, e non potevo vivere.

 

Nessuno ci impediva di negare la vita uccidendoci. “Ma, allora, avevo voglia di dire a me stesso, abbi il coraggio di ucciderti, e cesserai di ragionare. Se la vita non ti piace, non hai che da ucciderti.

 

Se vivi senza poter comprendere il senso della vita, non hai che da mettervi fine, invece di girare in tondo in questa vita raccontando e descrivendo ciò che non vi capisci. Se sei venuto in una serata gradevole in cui tutti si divertono, in cui ciascuno è al suo posto,  e in cui ti annoi e non sei a tuo agio, non hai che da andartene.

 

“Poichè chi siamo, in effetti, noi, convinti della necessità del suicidio ma incapaci di commetterlo, se non i personaggi più deboli, i più inconseguenti, e, per parlare con semplicità, i più sciocchi che fanno un tutt'uno delle loro corbellerie?”.

“Poichè la nostra saggezza, pur se incontestabile, non ci ha fornito il senso della nostra vita. Mentre tutta l'umanità che fa la vita, tutti questi milioni non dubitano del senso della loro vita.

 

“In effetti, da tempo immemorabile, così lontano da  che so che la vita esiste, gli uomini hanno vissuto conoscendo il ragionamento sulla vanità della vita che mi ha svelato la sua assurdità, ma  che non ha impedito loro di vivere né di trovare un senso ad essa.

 

“Da che esiste una qualsiasi vita umana, gli uomini avevano già quel senso della vita, e conducevano quella vita che si è prolungata sino a me. Tutto ciò che esiste in me ed attorno a me, tutto ciò che è materiale ed immateriale, è il frutto della loro conoscenza della vita. Quegli stessi strumenti del pensiero che mi permettono di pensare questa vita e di condannarla, non sono stati confezionati per me, ma per loro. Io stesso sono nato, sono stato  allevato, sono cresciuto grazie a loro. Hanno estratto il ferro dalla terra, hanno appreso a tagliare gli alberi, hanno addomesticato le vacche, i cavalli, hanno imparato a seminare, a vivere insieme, hanno organizzato la nostra vita; essi mi hanno insegnato a pensare, a parlare. E sono io, la loro creazione, nutrito, allevato, istruito da essi, pensante con le loro idee e con le loro parole, che ho provato loro che essi erano un'assurdità! Qualcosa non va, dicevo a me stesso. Mi sono sbagliato. Ma, comunque,  non riuscivo a trovare il mio errore“.

 

7) Segue